Epilessia: le limitazioni da combattere sul lavoro, nelle relazioni e nelle cure per uscire dalla clandestinità
- Il lavoro emerge come il problema centrale di chi è affetto dalla patologia: dichiarare la malattia o anche solo di assumere farmaci (che la controllano) può portare a limitare le proprie possibilità di impiego.
- Le relazioni: spesso le persone con epilessia tendono a non esporsi per timore di un rifiuto o dell’isolamento
- Le cure – un problema molto sentito nel Regno Unito, ma che caratterizza i tre Paesi per quanto riguarda chi ha un’epilessia non controllata dai farmaci attuali, circa il 30-40% di chi soffre della patologia.
Roma, 8 febbraio 2021. In occasione della Giornata Internazionale dell’Epilessia, l’8 febbraio, Elma Research ha condotto – per conto di Angelini Pharma – tre interviste ai tre presidenti delle più importanti Associazioni contro l’epilessia in Italia, Regno Unito e Spagna. Tre punti di vista privilegiati, per comprendere la situazione di chi soffre di epilessia in Paesi che contano rispettivamente 500.000, 600.000, e 700.000[1] persone colpite dalla malattia, per osservare similitudini e differenze tra le varie realtà e, soprattutto, per comprendere l’impegno di chi si batte per migliorare le condizioni di chi vive costantemente sotto la spada di Damocle delle crisi.
IL LAVORO
Il tema della clandestinità riguarda il mondo del lavoro, che è il problema centrale per chi soffre di epilessia, trasversale ai tre Paesi. Le persone con epilessia hanno più difficoltà a trovare lavoro, e quando lo trovano quasi mai riescono ad accedere a posizioni ben retribuite e di responsabilità.
Dichiarare di assumere farmaci e/o di soffrire di epilessia è infatti quasi sempre garanzia di una minor risposta quando si cerca lavoro. Questo porta molte persone a non dichiarare la propria condizione, vivendo comunque nell’ansia dovuta al rischio, all’assenza di tutele, a uno stato di allerta continuo quando si è sul posto di lavoro.
I datori di lavoro hanno molte perplessità: verso la malattia in sé, si preoccupano per una possibile richiesta eccessiva di permessi, di un possibile elevato tasso di assenze, temono che in caso di mansioni che richiedono un rapporto diretto con clienti e fornitori questi si “spaventino” in caso di crisi. Nelle grandi aziende, dove ci sono programmi di inclusione, la situazione sta cambiando. Ma non nella gran parte delle medie o piccole imprese. Spiega José Luis Domínguez, presidente della Federación Española de Epilepsia (FEDE), uno dei tre esponenti intervistati da Elma Research, “innanzitutto una persona che ha l'epilessia rischia di perdere il lavoro per le possibili assenze. Poi se ha una crisi con le convulsioni, è devastata e ha bisogno di 2 ore di situazione post-critica per normalizzarsi. Infine, non si sa come far fronte a una crisi. Purtroppo, manca la semplice conoscenza di base del primo soccorso per una persona con epilessia.”
In particolare, in Italia viene sollevata la questione della dichiarazione di assumere farmaci al datore di lavoro: questo aspetto – che permette di vivere una vita normale – esclude molto spesso le persone con epilessia da opportunità lavorative. Ad esempio, in caso di vittoria di una selezione lavorativa viene a crearsi un corto circuito, perché spesso i medici "competenti" delle aziende non accettano questa condizione anche se il neurologo dichiara la persona adatta e in grado di svolgere il lavoro per cui ha concorso.
Secondo Giovanni Battista Pesce, un’altra delle peculiarità italiane riguarda la patente di guida: la normativa europea stabilisce che una persona con epilessia può rinnovare la patente ogni 5 anni (anziché ogni 2) in caso non abbia avuto episodi di crisi per 5 anni consecutivi. La normativa italiana ha recepito quella europea, stabilendo però che all’assenza di crisi debba accompagnarsi l’assenza di terapia farmacologica, creando di fatto un cortocircuito.
Il grande problema di base in Italia e Spagna è che non esiste una compiuta legislazione a supporto e tutela delle persone con epilessia: non c’è riconoscimento di invalidità (se non in percentuali molto basse, che non portano a nessun sostanziale diritto) e quindi non c’è accesso alle agevolazioni inclusive, come le liste di collocamento dedicate.
LE RELAZIONI
Richard Chapman, presidente di United Kingdom Epilepsy Action, fotografa la realtà britannica, dove sono 600.000 le persone con epilessia (quasi 1 persona su 100) e dove ogni giorno viene diagnosticata la patologia a circa 87 persone. I rischi dell’esporsi riguardano innanzitutto l’ambito relazionale. A questo proposito, Lee sottolinea come «nelle relazioni, specialmente se parliamo di relazioni emotive, ti metti sempre in gioco, ti esponi alla possibilità di essere rifiutato e questo ti potrà fare male». E questo nonostante una realtà, come quella del Regno Unito, in cui è stato già fatto molto per informare e fare educazione sulla patologia, a partire dalla scuola. Sempre secondo Lee, le cose stanno lentamente migliorando per quanto riguarda la consapevolezza sul tema epilessia: è più facile trovare informazioni corrette e accurate, c’è meno tendenza all’autoisolamento e a celare la propria condizione da parte delle persone con epilessia, che sempre più riescono a farsi personalmente portavoce della loro condizione e a sfatare i falsi miti di coloro che li circondano.
È quindi la Spagna, insieme all’Italia, a porre maggiormente l’accento sull’isolamento sociale e sull’autoesclusione, sulla condizione di clandestinità delle persone con epilessia, anche a fronte di molti episodi di discriminazione a scuola e sul posto di lavoro, che inducono a non dichiarare la propria condizione. Il tema della clandestinità è toccato ampiamente anche da Giovanni Battista Pesce, presidente dell’Associazione Italiana contro l’Epilessia. “La soluzione non può essere solo quella di combattere i pregiudizi risalenti al Medioevo, o di parlare di grandi personalità affette da epilessia (spesso si citano Napoleone o Giulio Cesare), ma è creare le migliori condizioni possibili grazie a interventi normativi ad hoc – come il Disegno di Legge n. 716 sul miglioramento della tutela dei diritti delle persone con epilessia in ambito sanitario (con uno sguardo anche alla farmaco-resistenza), sociale e lavorativo, sostenuto da AICE e attualmente calendarizzato per la discussione presso la XII Commissione Igiene e Sanità del Senato. O come le linee guida ministeriali del 2005, che hanno aperto alla possibilità per i bambini di assumere farmaci a scuola, passaggio fondamentale per chi soffre di epilessia, ma anche per chi è affetto da altre patologie croniche.”
LE CURE
In Regno Unito, una delle criticità tocca anche la qualità delle cure: secondo Richard Chapman, il tasso di diagnosi errate è molto alto, circa tra il 20 e il 30%. Questo significa che ci sono circa 100.000 persone che non ricevono una diagnosi corretta e ricevono quindi una terapia non appropriata. E questo è determinato anche dalla carenza non solo di neurologi ma anche di infermiere specializzate, che potrebbero svolgere un ruolo molto importante nell’informare e sostenere chi soffre di epilessia.
EPILESSIA NON CONTROLLATA
Come spiega molto bene Richard Chapman, l’epilessia copre un ampio spettro di situazioni: «La maggioranza delle persone con epilessia ha un controllo totale o buono delle crisi. Questo non significa che non abbiano problemi con l’epilessia, ma non è qualcosa che accade ogni cinque minuti. All’opposto dello spettro abbiamo persone con epilessia grave che hanno molte, molte crisi al giorno».
È il tema, sottolineato dai presidenti delle tre associazioni, delle persone con epilessia non controllata, che possono avere intervalli differenti di presentazione delle crisi. Queste sono circa il 30-40% del totale: se consideriamo che circa l’1% della popolazione ha questa patologia, è un numero non trascurabile. Negli ultimi anni questa percentuale, malgrado siano aumentati i farmaci a disposizione, si è mantenuta costante. Per questo ci sono molte attese rispetto ai risultati della ricerca in ambito farmaceutico: la possibilità di nuovi farmaci può sicuramente migliorare questo quadro. AICE, in particolare, vede un impegno diretto con la raccolta di fondi da investire tramite bandi negli studi preliminari per esplorare la possibilità di farmaci che non solo controllino la malattia, ma che possano addirittura guarirla.
TECNOLOGIA
Molte attese ci sono anche dall’innovazione tecnologica: José Luis Domínguez nella sua intervista parla di un nuovo dispositivo medico, che potrebbe essere disponibile in Europa a breve, in grado di riconoscere i segni premonitori delle crisi e di allertare sia la persona coinvolta sia i suoi familiari. Anche Richard Chapman cita l’utilizzo di sensori da mettere sotto al letto della persona per riconoscere in anticipo il pattern di una crisi e svegliarla.
In sintesi, tutte e tre le Associazioni chiedono: tutela, inclusività, riconoscimento dell’invalidità, leggi e misure concrete che mettano le persone con epilessia nelle condizioni di vivere una vita di qualità sulla base delle loro condizioni e prendendo atto e rispondendo ai loro bisogni.
Questa ricerca si inserisce in un progetto più ampio, che prevede una approfondita indagine sui bisogni delle persone con epilessia in cinque paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna) e che sarà presentato in occasione del 26 marzo, Purple Day, giornata dedicata ad aumentare la consapevolezza e sensibilizzare le persone su cosa significa davvero vivere con l’epilessia.
[1] Dati riportati dalle Associazioni. Nel caso della Spagna, il numero è più alto perché nel conteggio in questo caso sono compresi tutti coloro che almeno una volta hanno avuto esperienza di una crisi.