Un test per la diagnosi ultraprecoce della malattia di Alzheimer

Benché non esistano ancora terapie in grado di contrastare la malattia di Alzheimer in modo soddisfacente, gli studi condotti negli ultimi anni suggeriscono che alcuni accorgimenti sul fronte dello stile di vita (alimentazione sana ed equilibrata, esercizio fisico regolare, integrazioni mirate di micronutrienti essenziali, interazione sociale positiva ecc.) e dell'attività psico-intellettiva (studio, lettura, uso di dispositivi elettronici, mantenimento di un buon tono dell'umore, riduzione dello stress ecc.), adottati fin da giovani, possono contribuire a ridurre la probabilità di sviluppare questa forma di demenza o, quantomeno, a rallentarne l'evoluzione.

I farmaci attualmente disponibili possono frenare la neurodegenerazione tipica della malattia di Alzheimer, permettendo di conservare migliori prestazioni cognitive per 1-2 anni, ma la loro efficacia appare limitata, anche a causa di una diagnosi tardiva. Un recente studio condotto presso il Rush University Medical Center di Chicago (Stati Uniti) segnala che la situazione, almeno sul fronte diagnostico, potrebbe presto cambiare, grazie all'impiego di un test cognitivo che valuta contemporaneamente, in modo integrato, la qualità della memoria episodica, delle funzioni esecutive e dello stato cognitivo globale. Somministrando prospetticamente il test composito a 2.125 persone con più di 64 anni prive di deficit cognitivi all'inizio dello studio e seguendo i partecipanti per un periodo di follow up di 18 anni, i ricercatori hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa tra i punteggi ottenuti nel test e la probabilità di sviluppare malattia di Alzheimer negli anni successivi.

Nel periodo di monitoraggio, 442 dei partecipanti (21%) hanno sviluppato malattia di Alzheimer e il test cognitivo composito ha permesso di correlare i punteggi più bassi con l'aumento del rischio di sviluppare demenza. In particolare, è stato calcolato che tale rischio aumenta di quasi 10 volte nell'anno precedente la diagnosi di malattia di Alzheimer (OR 9,84; p< 0,001), ma è già di oltre tre volte superiore (OR 3,39; p< 0,001) 18 anni prima. Questa correlazione è apparsa più marcata nel caso dei partecipanti di origine europea (45% del campione) rispetto agli afroamericani ed stata confermata anche nel caso dei punteggi ottenuti individualmente in ciascuna delle tre sottosezioni del test (memoria episodica, funzioni esecutive, stato cognitivo globale).

In sostanza, ciò significa che è possibile individuare le persone a rischio di sviluppare malattia di Alzheimer con un anticipo sull'insorgenza della demenza conclamata molto superiore a quanto si ritenesse finora, aumentando le possibilità di attuare interventi preventivi di vario tipo e di testare le potenzialità di terapie vecchie e nuove, somministrate prima che il danno neurologico sia significativo e irreversibile.