Disturbi dell'alimentazione: anoressia, bulimia, obesità

I disturbi dell'alimentazione sono al giorno d'oggi molto frequenti. Le stime spesso si riferiscono a disturbi più riconoscibili, ma accanto a questi sono numerose le persone, in maggioranza le donne, che hanno con il cibo un rapporto estremamente conflittuale. Ultimamente si stanno osservando questi disturbi anche nella popolazione maschile, ma il fenomeno è ancora oscuro e se ne parla poco, in genere quando qualche fatto di cronaca mette sotto i riflettori il mercato oscuro delle sostanze dopanti nelle palestre. I disturbi dell'alimentazione si manifestano sotto forma di modificazioni del peso, che può essere eccessivo (obesità), eccessivamente ridotto (anoressia) o fluttuante, e sotto forma di preoccupazioni eccessive rispetto al peso e alla forma del corpo che possono portare ad assumere comportamenti alimentari disordinati e pericolosi per la salute. Questi disturbi sono un sintomo di un malessere sociale a livello dell'identità e delle relazioni. Per questo è importante conoscerli e cercare di affrontarli tempestivamente.

I disturbi più comuni

È possibile operare una distinzione tra i vari tipi di disturbi dell'alimentazione: l'anoressia nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati. Esiste, poi, tutta una varietà di comportamenti alimentari quantitativamente e qualitativamente alterati. Tra i primi rientra l'"iperfagia" che è caratterizzata da un introito calorico eccessivo e in genere ha origine nelle cattive abitudini alimentari della famiglia. Un altro comportamento quantitativamente alterato è l'"atto di piluccare" che è una condotta che si realizza lontano dai pasti e consiste nel consumare continuamente del cibo nel corso delle attività quotidiane (in genere è un solo tipo di cibo, facilmente reperibile, per esempio patatine o biscotti).Tra i secondi rientrano i comportamenti che tendono all'ascetismo (il rinunciare ad un cibo particolarmente amato), il disgusto o il rifiuto selettivo di altri cibi, per esempio i piatti tradizionalmente familiari. C'è poi l'obesità, un fenomeno che negli ultimi anni sta diventando un'emergenza sanitaria nei paesi occidentali: un problema che la maggior parte delle volte non ha origine nell'adolescenza o nell'età adulta, ma nell'infanzia, spesso nel primo anno di vita.

Un po' di storia
Probabilmente il primo studioso che descrisse in modo particolareggiato un quadro anoressico fu George Morton che nel1689 scrisse un trattato "Phitisiologia: or a Treatise of consumption" (Tisiologia o trattato sulla consunzione) in cui descrisse una particolare forma di consunzione in cui erano presenti deperimento, inappetenza, iperattività e amenorrea senza però febbre, tosse e dispnea, i classici sintomi della consunzione. Per questo motivo l'autore ritenne che la malattia fosse di origine nervosa.
L'anoressia fu riconosciuta come entità clinica tra il 1868 e il 1873. Le pazienti affette da questa patologia suscitavano grande stupore. Oltre al rifiuto caparbio del cibo e all'iperattività che sembrava crescere di pari passo con la consunzione del corpo, questa malattia, che ha origini mentali e nervose, aveva delle implicazioni e conseguenze sul piano familiare. Nel 1914 i disturbi legati all'anoressia furono identificati con una malattia organica endocrina. Da quel momento e fino agli anni '40 l'anoressia venne vista come una disfunzione del sistema endocrino.

Il primo a descrivere la bulimia fu Cullin nel 1772, il quale parlò di "bulimia emetica" per descrivere un'introduzione forzata di cibo seguita da rigurgito per l'eccessiva quantità. Solo nel 1979 ricevette la denominazione di bulimia nervosa: un disturbo che si poneva tra l'anoressia e l'obesità, con le stesse caratteristiche preoccupazioni delle anoressiche ma con il ciclo mestruale ed un peso ancora adeguato e con una alta frequenza di depressione (in una percentuale compresa tra il 25 e il 75 per cento). Col termine bulimia nervosa si ampliò il concetto precedente di bulimia che si riferiva alle sole abbuffate.

Tipi di disturbi
Il termine "anoressia" deriva dal greco an-orexis che significa mancanza dell'appetito. Questo disturbo si caratterizza per il rifiuto di mantenere il proprio peso corporeo al di sopra o ai livelli minimi rispetto a quanto previsto in relazione all'altezza, o anche l'impossibilità di raggiungere il peso previsto (se nel periodo di crescita dell'altezza). Per soddisfare questo criterio il peso deve essere del 15 per cento inferiore a quello previsto. È presente un'estrema paura di ingrassare o prendere peso anche in una situazione di sottopeso. La persona vive in modo alterato la forma e il peso del proprio corpo, legando a queste caratteristiche la valutazione del sé. Inoltre non ammette la gravità della situazione in caso di sottopeso. È inoltre presente amenorrea (mancanza del ciclo mestruale per almeno 3 mesi). È possibile distinguere due sottotipi di anoressia:

  • sottotipo con restrizioni: non sono presenti abbuffate e condotte eliminatorie (come il vomito auto-indotto, l'uso di lassativi o diuretici)
  • sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione: sono presenti abbuffate e condotte di eliminazione.

Il termine "bulimia" deriva dal greco bous che significa bue e limos che significa fame. Dunque significa letteralmente fame da bue. In questo disturbo sono presenti abbuffate ricorrenti che hanno la caratteristica di portare l'individuo a consumare un'enorme quantità di cibo, soprattutto in relazione al tempo e alle circostanze, con la sensazione di perdita di controllo, di non riuscire a fermare la qualità e la quantità di cibo ingerito.

Accanto alle abbuffate sono presenti comportamenti (condotte) per limitare l'aumento di peso come digiuni o condotte di eliminazione (vomito auto-indotto, uso di lassativi o diuretici, eccessivo esercizio fisico). Le abbuffate e le condotte di compensazione devono essere presenti per tre mesi, con una media di due volte a settimana. Come per l'anoressia nervosa l'autostima è eccessivamente influenzata dal peso e dalla forma del corpo. Anche per la bulimia esistono due sottotipi:

  • sottotipo con condotte di eliminazione: sono presenti comportamenti compensatori sotto forma di condotte di eliminazione
  • sottotipo senza condotte di eliminazione: i comportamenti compensatori sono caratterizzati dal digiuno e/o dall'esercizio fisico.

Nella categoria disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati rientrano i disturbi dell'alimentazione che non soddisfano i criteri suddetti per anoressia nervosa e bulimia nervosa. Possono costituire un esempio le donne che in presenza di tutti i criteri per una diagnosi di anoressia nervosa continuano ad avere il ciclo mestruale, o le cui condotte eliminatorie non hanno una frequenza di due volte a settimana.

Diffusione
Secondo il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disordini Mentali (DSM), l'anoressia nervosa colpisce tra lo 0,5 e l'uno per cento delle donne in tarda adolescenza o nella prima età adulta. Per quanto riguarda la bulimia nervosa la percentuale sale dall'uno al 3 per cento. Anche in questo caso si parla prevalentemente di donne in tarda adolescenza e prima età adulta. I disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati sono rilevabili nel 2-5 per cento delle giovani donne. I disturbi dell'alimentazione incontrollata si distinguono dall'anoressia nervosa e dalla bulimia nervosa per la diversa fascia d'età in cui sono più frequenti: la maggior parte delle persone colpite ha un'età compresa tra i 30 e i 50 anni.

Alcune recenti ricerche hanno evidenziato che i disturbi dell'alimentazione hanno una prevalenza del 2-3 per cento nella popolazione adulta e dell'8 per cento tra i soggetti obesi. Questi dati probabilmente non rendono conto della reale diffusione dei disturbi dell'alimentazione. Si ritiene, infatti, che considerando le situazioni sub-cliniche (quelle, cioè, che non soddisfano tutti i criteri per una diagnosi) i tassi di prevalenza possano raggiungere il 5-15 per cento.

Un altro dato importante è la grande differenza a livello di prevalenza per quanto riguarda gli uomini e le donne. Questa differenza è più evidente per l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa mentre risulta meno marcata per i disturbi dell'alimentazione incontrollata. Le proporzioni donna/uomo si valutano in un rapporto di circa 4 a 1 nell'anoressia nervosa, 11 a 1 nella bulimia nervosa e 1,5 a 1 nei disturbi dell'alimentazione incontrollata.

Disturbi correlati
Spesso i disturbi dell'alimentazione si associano con la depressione e i disturbi d'ansia. L'abuso di sostanze è frequente nelle pazienti bulimiche ma non in quelle anoressiche, laddove il disturbo ossessivo-compulsivo è molto più comune nelle pazienti anoressiche rispetto alle bulimiche. Sono inoltre spesso associati ai disturbi dell'alimentazione anche i disturbi delle personalità.

Decorso
L'età media d'esordio dell'anoressia nervosa è di 17 anni. Si ritiene, inoltre, che intorno ai 14 e ai 18 anni ci sia la più alta percentuale d'esordio. Anche se molte pazienti guariscono, esse continuano ad avere un rapporto molto difficile con l'alimentazione e in diversi casi il disturbo passa dall'anoressia nervosa alla bulimia nervosa o ai disturbi dell'alimentazione incontrollata. Si ritiene, poi, che siano maggiormente a rischio le pazienti che mantengono un basso peso. Il tasso di mortalità è piuttosto elevato. Si stima che circa il 15 per cento delle pazienti muoia o per complicanze cliniche o a causa di disturbi psichiatrici correlati. Il suicidio ha una frequenza abbastanza elevata.

La bulimia nervosa ha in genere inizio nella tarda adolescenza e nella prima età adulta. Viene considerata una malattia ad andamento cronico in cui sono frequenti remissioni e ricadute. Il decorso si differenzia notevolmente tra pazienti trattate e non trattate. In genere le pazienti non trattate vanno incontro ad un peggioramento, mentre quelle che hanno ricevuto un trattamento hanno un decorso più favorevole.

L'anoressia nervosa

Spesso l'anoressia nervosa inizia con il semplice desiderio di perdere qualche chilo di troppo. In diversi casi si tratta di ragazze che nell'infanzia hanno presentato un sovrappeso.
In questi casi l'iniziativa viene approvata dalla famiglia e non sono rari i casi di madre e figlia che iniziano insieme una dieta. Altre volte è possibile individuare dei chiari fattori scatenanti come una perdita, un lutto, un conflitto familiare, una nascita.

Dimagrimento e anoressia
All'inizio spesso c'è un dimagrimento moderato, ma una volta raggiunto il peso inizialmente sperato l'anoressica continua a dimagrire. In genere il quadro va a stabilizzarsi nel giro di 3-6 mesi. Ciò che si osserva è una straordinaria determinazione nel perseguimento dell'obiettivo di dimagrire. Questo avviene nonostante la fame intensa. Infatti nonostante il termine "anoressia" significhi "perdita dell'appetito", la maggior parte delle volte questo sintomo compare nelle fasi più gravi, quando si arriva alla cachessia, causato probabilmente dalla secrezione di alcune endorfine ad effetto anoressizzante.
Molti autori ritengono che l'anoressica provi un vero e proprio godimento nel controllare la fame. Con l'andare avanti del tempo, l'anoressica adotta tutto un insieme di comportamenti peculiari: riduce sempre più il numero di alimenti, tritura e sminuzza il cibo, lo mastica smisuratamente e spesso lo risputa.

Non è raro che ad un certo punto l'iper-controllo venga a mancare e l'anoressica abbia un'abbuffata .Questo episodio viene vissuto come intollerabile e comporta non solo la pratica delle condotte di eliminazione (vomito) ma è anche probabile che la dieta e il controllo diventino ancora più restrittivi. Il peso viene controllato ogni giorno e dall'esito della bilancia deriverà un senso di trionfo (in caso di ulteriore perdita) o di rabbia e tristezza (in caso di aumento). L'anoressica percepisce il suo corpo come grasso e spesso si concentra su alcune parti che vede come grosse o gonfie. L'idea di acquistare peso può essere terrorizzante anche perché spesso si associa alla sensazione di perdere il controllo senza poterlo più riacquistare.
Le anoressiche sono spesso iperattive in campo fisico e/o intellettuale. Soprattutto all'inizio mostrano una forza di volontà e una caparbietà che fa loro ottenere dei successi. Successi che spesso sono oggetto di apprezzamento da parte della famiglia. Nelle fasi più avanzate però si perde pure la capacità di studiare con conseguenti fallimenti in quei campi in cui si erano dimostrate brillanti.

È stato più volte osservato come l'anoressia abbia una frequenza maggiore in determinati ambiti, come quello della danza o della moda, dove il non mangiare e il rimanere molto al di sotto del peso normale può essere una risposta ad una richiesta più o meno implicita. L'interesse per le attività sociali, poi, nonché per le relazioni amorose è molto scarso. Dietro l'anoressia si può nascondere più o meno celatamente il desiderio di ritornare ad un corpo infantile, non sessuato.

La famiglia
Sono state individuate delle caratteristiche piuttosto ricorrenti nelle famiglie delle pazienti anoressiche.Spesso la coppia genitoriale presenta un'armonia di superficie. Il padre tende ad essere cordiale e permissivo, e ad avere poca voce in capitolo rispetto alla madre che è stata definita come fredda e poco accogliente. In genere le madri vengono descritte come più preoccupate degli aspetti di funzionamento concreto della figlia piuttosto che disposte ad accogliere altri aspetti più immaginativi o di fragilità. Sembra che si possa osservare un padre più con funzioni di madre e una madre più con funzioni di padre. Le figlie potrebbero essere state oggetto delle aspettative materne soprattutto dal punto di vista fisico.

Nelle famiglie delle anoressiche, col procedere dei sintomi e delle conseguenti preoccupazioni, sembra accrescere la dipendenza reciproca. È una dipendenza fondata sulla colpa, da un lato la colpa di non riuscire a nutrire a sufficienza la figlia, dall'altro la colpa derivante da tutti i tentativi di farla mangiare. Spesso i comportamenti dell'anoressica suscitano tensioni tra i membri familiari. I parenti vivono nella difficoltà di non dire niente e stare a guardare o obbligare con risultati praticamente nulli l'anoressica a mangiare. A tavola le anoressiche si sentono osservate e spesso finiscono per mangiare da sole al fine di evitare gli sguardi che sentono come intrusivi. Spesso cominciano ad occuparsi dei pasti di tutta la famiglia cercando di esercitare un controllo anche su quello che mangiano gli altri.

Complicazioni
Le problematiche dipendono dell'entità del dimagrimento e dalla durata. Innanzi tutto affinché venga fatta una diagnosi di anoressia nervosa è necessario che il peso corporeo non superi l'85 per cento del peso previsto per l'altezza. In queste situazioni diminuisce il pannicolo adiposo (accumulo di grasso sottocutaneo), le palpebre diventano secche e i capelli fragili. È possibile un'ipertricosi reattiva (un aumento della peluria). L'amenorrea (assenza di mestruazione) può essere primaria in caso di soggetti molto giovani che non abbiano avuto il menarca o, più spesso, secondaria, dovuta al "disinnesco" dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Le concentrazioni di FSH (ormone follicolo stimolante) e LH (ormone luteinizzante) sono molto più basse della media.

L'anoressia può comportare una poliuria dovuta ad una riduzione dell'ormone antidiuretico a cui si associa una riduzione della sensibilità renale. Possono verificarsi anemia ipocromica e iposideremica. A causa delle carenze nutrizionali e del basso livello di estrogeni è possibile che si verifichi un'osteoporosi che sembra essere recuperabile con la ripresa ponderale. È frequente un'ipotonia e ipotrofia muscolare. È ancora in discussione se le alterazioni endocrine, ipotalamiche e ipofisarie siano primarie e quindi causa dell'anoressia o secondarie, quindi dovute alla denutrizione. Non sono da escludere fattori emozionali che possano evocare risposte in grado di alterare il substrato biologico.

Trattamenti
La maggior parte delle volte è necessario stabilire con l'anoressica e la sua famiglia un "contratto" terapeutico. I metodi coercitivi hanno di solito scarso successo, mentre ciò che risulta fondamentale è la motivazione del paziente associata ad un coinvolgimento familiare. Il caso dell'anoressia è, comunque, particolare. Spesso, in realtà, in quei casi in cui la consunzione sia arrivata a limiti quasi incompatibili con le funzioni vitali, è necessario un ricovero o un'ospedalizzazione. In particolare l'ospedalizzazione è necessaria in casi di perdita della coscienza o della vigilanza, dimagrimento estremamente rapido, prostrazione e affaticamento lamentato dalla stessa paziente. Il contratto in genere prevede l'impegno da parte della paziente ad un recupero progressivo del peso. A questo sarà associata una terapia individuale, di gruppo o familiare. Accanto al lavoro con la paziente è necessaria una presa in carico dei genitori o dei familiari.

La difficoltà di trattamento con queste pazienti risiede nel fatto che esse non si rendono conto della gravità della loro condizione; il dimagrimento spaventoso agli occhi della famiglia e degli operatori è per l'anoressica motivo di orgoglio e autostima. Per molto tempo la strategia elettiva per il trattamento dell'anoressia è stato l'isolamento e l'allontanamento dal nucleo familiare. Questo è spesso utilizzato per cercare di uscire dall'empasse in cui si trovano le anoressiche e le loro famiglie. Il fine è quello di fermare la caduta ponderale, interrompere la serie di comportamenti reattivi familiari, rendere possibile e credibile il recupero, inserendolo all'interno di un percorso psicoterapeutico.

La durata dell'ospedalizzazione va, di solito, dai 3 ai 6 mesi. Spesso viene fatto un contratto terapeutico, per cui le dimissioni o la ripresa dei contatti saranno possibili solo una volta raggiunto un certo peso. Anche nel caso di separazione dell'anoressica dal gruppo familiare sarà necessario offrire ai genitori un sostegno, a livello individuale, di coppia o di gruppo.
Il trattamento farmacologico, per lo più integrato con una psicoterapia, si basa sull'utilizzo di antidepressivi.

La bulimia nervosa

L'abbuffata è la caratteristica principale della bulimia nervosa. Non sono pochi i casi in cui il comportamento bulimico è scaturito da un periodo di dieta e di ridotto introito calorico. Normalmente l'assunzione di cibo, in particolare dei carboidrati, permette, attraverso una serie di meccanismi, di avere determinati livelli di serotonina (un neurotrasmettitore). La presenza di serotonina è, infatti, connessa con le sensazioni di sazietà. La crisi bulimica si inserirebbe, dunque, in un quadro di riduzione della serotonina come misura atta a compensare un disfunzione del sistema che regola la serotonina. La dieta comporta dunque una carenza del neurotrasmettitore che segnala all'organismo il senso di sazietà e permette di smettere di cibarsi. In assenza di serotonina non si sente la sazietà e dunque i pasti possono assumere proporzioni gigantesche. In queste crisi i soggetti sembrano infatti avere una fame senza fine.

La crisi bulimica
La crisi bulimica è solitamente preceduta da un periodo di tensione.
La persona si ritrova preda di una sorta di eccitazione, confusione e malessere.
L'abbuffata può avvenire in due modi: il primo, meno frequente, prevede una sorta di preparazione rituale, cucinando e apparecchiando la tavola.
Il secondo, molto più frequente, è talmente improvviso che la persona si ritrova a mangiare in tutta fretta alimenti cucinati e non. Il cibo non viene gustato, né masticato, spesso viene rubato.

L'abbuffata avviene sempre in solitudine e ha fine nel momento in cui si viene sorpresi, il cibo è finito o la quantità è stata talmente elevata da provocare un forte malessere. In seguito all'abbuffata possono presentarsi dolori di stomaco, mal di testa e nausea, nonché forti sensi di colpa, vergogna e umiliazione. L'esito finale è l'addormentamento o il vomito. Successivamente, i ricordi sono confusi, è presente una sorta di oblio, insieme a un senso di vuoto, noia e ansia. Sono frequenti l'abuso di sostanze e, al contrario delle anoressiche, un'iperattività sessuale.

La famiglia
Solo raramente le pazienti bulimiche provengono da un contesto familiare assimilabile a quello delle anoressiche (nuclei molto uniti con forti tensioni interne, spesso mascherate). Più spesso le famiglie sono caotiche e con una conflittualità più esplicita e si rileva una discreta frequenza di familiari con un passato di tipo psichiatrico.

Sembra che nelle famiglie delle bulimiche ci sia la tendenza ad utilizzare la paziente come "ricettacolo" di tutti gli aspetti meno apprezzabili. Tutta la cattiveria e l'impulsività verranno convogliati sulla bulimica che col suo disturbo mette in atto questi meccanismi familiari. Il cibo diventa qualcosa da ingurgitare avidamente e vomitare come una cattiveria che una volta ricevuta dagli altri si vuole ributtare fuori. Sono frequenti i casi di abuso sessuale.

Complicazioni
Il frequente ricorso al vomito, ai lassativi e ai diuretici può portare a delle complicazioni molto severe. Innanzi tutto queste condotte di eliminazione possono causare uno squilibrio elettrolitico capace di portare ad un arresto cardiaco. Inoltre possono esserci lacerazione dell'esofago o gastriche. Anche i denti, troppo spesso a contatto con i succhi gastrici possono risentire del vomito auto-indotto. L'associazione con i disturbi di personalità deve mettere in guardia rispetto al rischio di suicidio.

Trattamenti
La bulimia nervosa ha esiti migliori quando viene trattata. Per quanto riguarda le psicoterapie, le proposte per i pazienti bulimici sono numerose. Ciò che si osserva, con questi pazienti, è la difficoltà di instaurare un'alleanza terapeutica, necessaria per il buon esito del trattamento. Sono, infatti, pazienti che tendono ad interrompere la terapia, ad alternare momenti di investimento su questa a momenti di fuga.
Tra le psicoterapie ricordiamo la psicoanalisi, le terapie psicodinamiche individuali o di gruppo, lo psicodramma, le terapie cognitivo-comportamentali. Queste ultime spesso di focalizzano sull'educazione alimentare e dietetica.
Per quanto riguarda i farmaci, si sono dimostrati efficaci gli antidepressivi, in particolare quelli che agiscono sui livelli di serotonina. Il problema è che spesso questi pazienti rifiutano i farmaci per paura di diventare dipendenti o di farne un uso smisurato. Questa è, in effetti, una preoccupazione che coinvolge anche gli psicologi e i medici consapevoli della tendenza di questi pazienti a condotte di abuso.

Obesità

Per obesità si intende un aumento patologico del peso e dei pannicoli adiposi. Chiaramente per poter parlare di peso superiore o inferiore al "peso ideale" è necessario specificare a cosa si riferiscono questi parametri. Probabilmente dopo l'introduzione degli"Indici di Massa Corporea"(Body Mass Index - BMI) è divenuto più facile classificare l'obesità adulta rispetto a quella infantile. L'IMC mette in relazione il peso in chilogrammi e l'altezza in metri al quadrato.

  • Sottopeso: BMI < 18,5 Altezza di 1,70 cm con un peso inferiore ai 52 Kg
  • Normopeso: BMI = 18,5-24,9 Altezza di 1,70 cm con un peso tra i 54 e 70 kg
  • Sovrappeso: BMI = 25- 29,9 Altezza di 1,70 con cm un peso tra i 72 e 84 Kg
  • Obesità di classe I: BMI = 30-34,9 Altezza di 1,70 cm con un peso tra i 86 e 98 Kg
  • Obesità di classe II: BMI = 35-39,9 Altezza di 1,70 cm con un peso tra i 100 e 114 Kg
  • Obesità di classe III: BMI > 40 Altezza di 1,70 cm con un peso superiore ai 116 Kg

Una valutazione più precisa, che tenga in considerazione la proporzione tra massa magra e massa grassa, è la misurazione delle pliche adipose sottocutanee. In genere questa misurazione si fa in alcune parti del corpo come la zona addominale, sottoscapolare e tricipitale.
Inoltre, attraverso l'analisi dell'impendenza bioelettrica(un esame che permette di stabilire la quantità di acqua corporea e di massa magra muscolare), è possibile capire quali percentuali nel peso totale dell'individuo siano dovute ai muscoli o all'acqua anche sotto forma di eccessiva ritenzione idrica. Questi esami più specifici sono utili in quanto il semplice calcolo della BMI rischierebbe di far ricadere ad esempio un atleta con una notevole massa muscolare nella categoria degli obesi.

Per quanto riguarda i bambini in genere vengono definiti sovrappeso quelli con un peso che supera del 10-20 per cento il peso ideale, mentre vengono definiti obesi i bambini che superano il peso ideale di oltre il 20 per cento. L'aumento ponderale dei bambini si calcola in riferimento alle tabelle dei percentili, che sono dei grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza, facendo distinzioni di sesso ed età. La crescita è nella norma se si pone intorno al 50° percentile.

Diffusione
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l'allarme, parlando dell'obesità come di un'epidemia. In Europa si stima che più della metà della popolazione adulta sia al di sopra della soglia di sovrappeso e che il 20-30 per cento degli adulti rientri all'interno della soglia clinica dell'obesità. In Europa un bambino su cinque è sovrappeso o obeso. In Italia la percentuale di bambini sovrappeso è del 20 per cento mentre i bambini obesi rappresentano il 4 per cento. L'incidenza dell'obesità è maggiore nella fascia d'età compresa tra i 6 e i 13 anni e sono colpiti soprattutto i maschi. Il problema è ancora più grave negli Stati Uniti dove le percentuali di individui obesi o sovrappeso è doppia rispetto all'Europa.

Obesità infantile e vita adulta
L'obesità ha spesso un'origine lontana, nell'infanzia, tanto che l'obesità adulta non è altro che la persistenza dell'obesità infantile. Degli studi retrospettivi hanno evidenziato che il 25 per cento dei casi di obesità nei bambini e negli adolescenti ha avuto inizio nel primo anno di vita, il 50 per cento prima dei 4 anni e il 75 per cento prima dei 6 anni.
Perché tanti bambini obesi e soprattutto perché spesso rimangono tali?

L'obesità nell'infanzia è causata da molteplici fattori. In primo luogo risulta importante la famiglia e il suo ruolo nella nutrizione e nell'educazione alimentare. Fattori riconosciuti sono inoltre la ridotta attività fisica e fattori di tipo genetico/familiare. Sono invece rari i casi di obesità dovuta ad alterazioni ormonali (come l'ipotiroidismo) o a disfunzioni surrenali. L'OMS ha sottolineato l'importanza nel trattamento e nella prevenzione dell'obesità di tre elementi:

  • una corretta alimentazione
  • attività fisica
  • il ruolo della famiglia.

Queste indicazioni trovano un grande sostegno se pensiamo che un'alimentazione eccessiva nei primi due anni di vita causa da una parte l'aumento del volume delle cellule adipose, dall'altra un aumento del loro numero. Questo implica che una persona con un numero maggiore di cellule adipose avrà maggiori difficoltà rispetto ad una persona con un numero normale a mantenere un peso nei limiti. Se, infatti, è possibile diminuire il volume delle cellule, non è possibile eliminarle. Un peso normale nella prima infanzia sembra dunque essere un elemento protettivo nella vita adulta.

Comportamenti frequenti
I comportamenti che si riscontrano con maggior frequenza sono l'iperfagia e l'atto di piluccare. Quest'ultimo, soprattutto, non è quasi mai connesso con la fame, sensazione che presenta caratteristiche problematiche in queste persone. Diversamente dagli altri disturbi dell'alimentazione le crisi bulimiche non sono frequenti. Non c'è una particolare correlazione tra l'obesità e particolari disturbi psichiatrici. Sono documentati dei casi di obesità associata a nevrosi o psicosi, ma non si tratta della norma.

Caratteristiche molto più frequenti sono un atteggiamento passivo e l'inattività che sembra avere sul peso maggiori effetti dell'iperfagia. A questi elementi si associa spesso un senso di vuoto, inutilità e noia, uniti ad elementi depressivi. Nell'infanzia, nell'adolescenza e nella vita adulta la persona obesa sarà spesso in difficoltà a causa del suo aspetto fisico che tanto si allontana dai canoni socialmente accettati. Il rischio è che la persona tenda ad isolarsi e a mettere le distanze più di quanto già non faccia col proprio corpo. Spesso, infatti, il grasso rappresenta una difesa dal mondo esterno, dagli altri, dalla sessualità. È una sorta di barriera difensiva che protegge un sé fragile, insicuro.

Il momento dell'adolescenza può essere considerato un momento di svolta, a volte anche grazie agli stimoli sociali. Quello che era il bambino dipendente dal cibo fornito dai genitori, diventa un adolescente che desidera entrare in un gruppo di pari, di persone simili. Questa può essere una spinta positiva in quei casi di obesità dovuti ad iperfagia familiare. Può essere il momento in cui l'adolescente trova una motivazione per affrancarsi dallo scorretto modello alimentare familiare.

La famiglia
È difficile, nel momento in cui si voglia pensare ad ipotesi eziologiche (causali), distinguere tra la familiarità in termini genetici e familiarità in termini di scorrette abitudini alimentari. È in ogni caso fuori di dubbio che avere uno o entrambi i genitori sovrappeso aumenti la probabilità che i figli abbiano lo stesso problema. Un'indagine Istat ha rilevato che il 18 per cento dei ragazzi rischia di essere sovrappeso o obeso nel caso in cui nessuno dei due genitori manifesti questo problema. La percentuale sale al 24,8 per cento nel caso il problema sia presente nel padre e al 25,4 se presente nella madre, per arrivare al 34 per cento in caso di entrambi i genitori sovrappeso o obesi. Si ritiene che le differenze tra bambini e adolescenti normopeso e obesi risiedano nella difficoltà di questi ultimi a discriminare i loro stati fisiologici di fame e sazietà. Questa difficoltà ha origine da una situazione caotica relativa alla nutrizione.

I bambini molto piccoli non riescono a discriminare come gli adulti i loro stati fisiologici. I bambini sentono uno stato di malessere, di tensione e cercano di comunicarlo col pianto. Le madri, in genere imparano molto presto a riconoscere il tipo di pianto del loro bambino. Quando una madre riesce a cogliere le diverse necessità del bambino, non solo fornirà al bambino le cure di cui ha bisogno che potranno essere di volta in volta legate alla sete, al pannolino bagnato, al bisogno di essere preso in braccio o di condividere l'attenzione su un oggetto, ma permetterà al figlio di imparare a discriminare tra i suoi stati fisiologici.
Spesso le madri di bambini e futuri adulti obesi hanno troppo spesso risposto al malessere o alle comunicazioni del bambino, con un'offerta indiscriminata di cibo, non consentendo al loro piccolo di imparare a discriminare la fame dalla sazietà e da altri bisogni. Questo comportamento si riproduce poi nel tempo. I bambini, gli adolescenti e gli adulti che hanno sperimentato questa situazione caotica avranno in seguito la tendenza ad assumere cibo ogni qual volta si troveranno di fronte ad uno stato di malessere, tensione o qualsiasi stato che essi non riescono a differenziare. Lo stesso trattamento che hanno ricevuto dalle loro madri che rispondevano col cibo a qualsiasi loro richiesta.

Complicazioni
Il bambino obeso ha elevate probabilità di soffrire di disturbi dell'apparato digerente; disturbi respiratori come una maggiore affaticabilità e apnee notturne; problemi alle articolazioni come una riduzione della motilità, varismo o valgismo agli arti inferiori (gambe arcuate o a X). Inoltre il bambino obeso rischia di cadere in un circolo vizioso, in quanto il suo peso gli renderà difficile intraprendere delle attività fisiche che potrebbero essere del tutto abbandonate, e quindi comportare un'ulteriore immobilismo con conseguente crescita ponderale.
Gli adulti hanno elevate probabilità di incorrere in patologie cardiovascolari, muscolo-scheletriche come l'artrosi, metaboliche come il diabete e anche tumorali a livello dell'apparato gastroenterico.

Trattamenti
Le raccomandazioni dell'OMS e del Ministero della Salute fanno un chiaro riferimento alla prevenzione, ad una corretta nutrizione, al ruolo della famiglia e all'attività fisica. Ma qual è l'obiettivo di una terapia contro l'obesità? Molti studi ci dicono che mirare al sintomo e quindi alla riduzione del peso può non essere sufficiente e anzi portare la persona obesa a sperimentare stati altalenanti e pericolosi di fluttuazione del peso corporeo.

L'intervento deve innanzi tutto essere mirato a raggiungere la consapevolezza del proprio corpo, delle sensazioni che da questo provengono, della capacità di discriminarle. Senza il raggiungimento di questo obiettivo primario, probabilmente ogni dimagrimento faticosamente raggiunto con diete ed esercizio fisico sarà destinato a fallire. È necessario un intervento che coinvolga vari specialisti. È importante, quindi, unire ad un lavoro psicologico la professionalità del medico curante e del dietista. Talvolta sarà necessaria una vera e propria educazione alimentare, per le persone interessate e per i familiari.