Disagio mentale
Il disagio mentale grave è un tema che non riguarda solo l'individuo o la famiglia, ma l'intera società. Per tantissimi anni bambini e adulti con questo tipo di problemi sono stati chiusi e considerati senza speranza. Nel corso del tempo sono cambiate molte cose tra cui l'atteggiamento che spesso a queste persone veniva riservato. L'idea è che queste persone possano e debbano avere una vita dignitosa e delle speranze per il loro futuro. Il termine autismo, invece, fu coniato per descrivere quei soggetti che non provavano nessun interesse per la realtà esterna, le cose e gli altri, ma erano totalmente assorbiti da loro stessi. Il termine autismo assume molteplici significati. Principalmente esso viene riferito all'autismo infantile precoce, il cosiddetto autismo di Kanner, che si differenzia dalla schizofrenia per un motivo: mentre lo schizofrenico ritira il suo interesse dal mondo esterno, il bambino autistico non ha mai instaurato un rapporto con il mondo esterno.
Affrontare il disagio mentale
Gli ospedali psichiatrici nacquero e si rafforzarono nell'800. Gli scopi di questi ospedali erano due: la cura, con mezzi medici e tecnici adeguati e la custodia come protezione delle persone bisognose e, contemporaneamente, protezione del contesto sociale. Nel corso del tempo, in Italia come in altri paesi, crebbe la consapevolezza che gli ospedali psichiatrici, i "manicomi" isolavano e recludevano i pazienti, diventando essi stessi dei luoghi dagli effetti invalidanti e disabilitanti. Assieme a questa consapevolezza crebbe anche la tendenza a pensare a dei luoghi di cura diversi, flessibili, decentrati e accessibili.
In Italia la figura simbolo del movimento fu Franco Basaglia, direttore prima dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, e successivamente degli ospedali di Parma e Trieste. L'idea di Basaglia era che l'ospedale psichiatrico non avesse valenze di cura e l'obiettivo era, conseguentemente, di sostituirlo con una rete di servizi territoriali. Nell'ospedale di Trieste molte cose cambiarono. Gli spazi furono aperti, si cambiò la disposizione dei pazienti, non più messi insieme per gravità (suicidi, agitati, infermi ecc.) ma in base alla loro provenienza territoriale. Vennero istituite delle riunioni dei pazienti che diventano parte attiva della vita dell'ospedale. Furono favoriti i ricoveri volontari. I pazienti assunsero importanza come persone, con una storia di vita e non in base alla loro malattia psichiatrica. Si abolirono le terapie di shock e le forme di contenzione fisica. Gradualmente i ricoverati e i nuovi ricoveri diminuirono. Molti pazienti, sempre assistiti cominciarono a vivere nei cosiddetti "gruppi appartamento".
Nel 1978 venne approvata la legge 180 che ribadiva l'inaccettabilità dell'isolamento di questi pazienti e proponeva forme di assistenza, riabilitazione e cura da svolgersi nei servizi territoriali. Inoltre fu vietato ogni nuovo ricovero negli ospedali psichiatrici. Dalla chiusura degli ospedali psichiatrici ad oggi molte cose sono cambiate. Alcuni dati sono particolarmente suggestivi e riguardano tre forme di pregiudizio: la pericolosità, il rifiuto delle cure e l'abbandono. I ricoveri nell'ospedale psichiatrico a Trieste sono passati da una media di 20 negli anni '70 ad una media di 0,5 negli ultimi 10 anni. Il numero annuale dei ricoveri coatti è passato da una media di 150 negli anni '70 a una media di 8 TSO (trattamenti sanitari obbligatori) ogni 100.000 abitanti negli ultimi 20 anni. Infine il numero dei suicidi è passato da 53 nel 1971 a 43 nel 1999.
Nel 1994 la legge finanziaria ha stabilito il termine ultimo per la chiusura degli ospedali psichiatrici, ben 67, dove risiedevano ancora 20.000 persone. Sono state effettuate diverse indagini sulle condizioni di vita all'interno degli ospedali, che hanno fornito un quadro generale molto spesso drammatico. Gli ospedali sembravano molto più luoghi di custodia che spazi di recupero e riabilitazione. Non veniva stimolata l'autonomia, né si proponevano dei contesti di lavoro protetti. Erano ancora attuate le contenzioni fisiche.
Le strutture di accoglienza
Le leggi che regolavano la chiusura degli ospedali psichiatrici prevedevano che i responsabili degli ospedali psichiatrici trovassero dei posti letto per i pazienti ancora ricoverati. Questi posti letto dovevano essere reperiti nelle case di riposo e nelle strutture psichiatriche residenziali dei servizi territoriali. Le strutture residenziali vengono definite come strutture extraospedaliere per utenti di esclusiva competenza psichiatrica, sono luoghi in cui si deve svolgere una parte del programma terapeutico-socio-riabilitativo, offrendo inoltre la possibilità di una rete di rapporti e di opportunità emancipative. Esse non sono da intendersi come soluzioni abitative.
Le strutture si differenziano per essere a bassa, media e alta assistenza a seconda delle ore di presenza del personale adibito all'assistenza dei pazienti. Circa il 70 per cento delle strutture è, attualmente, ad alta assistenza, cioè viene garantita una presenza di personale 24 ore su 24. I pazienti che non afferiscono a queste strutture risiedono in case di riposo mentre solo in una minima percentuale ha fatto ritorno in famiglia.
I disturbi mentali dello sviluppo
Il termine autismo fu coniato per descrivere quei soggetti che non provavano nessun interesse per la realtà esterna, le cose e gli altri, ma erano totalmente assorbiti da loro stessi. Il termine autismo assume molteplici significati. Principalmente esso viene riferito all'autismo infantile precoce, il cosiddetto autismo di Kanner (dal nome dell'autore che nel 1943 descrisse questa condizione nei bambini), o ad un significato generico nel senso di chiusura dei rapporti comunicativi col mondo e ritiro esclusivo nella propria soggettività. L'autismo di Kanner si differenzia dalla schizofrenia in quanto mentre lo schizofrenico ritira il suo interesse dal mondo esterno, il bambino autistico non ha mai instaurato un rapporto con il mondo esterno.In letteratura vengono descritte molte forme di autismo nell'infanzia. Si può comunque parlare di quattro diversi disturbi: l'autismo, il disturbo di Asperger, il disturbo di Rett e il disturbo disintegrativo.
Autismo
Il disturbo si presenta alla nascita. Non esiste un periodo di sviluppo normale. Ciononostante è piuttosto raro che la diagnosi venga effettuata prima dei 2-3 anni. La prima caratteristica che viene notata è la mancanza di socievolezza: i bambini non amano essere presi in braccio, evitano lo sguardo e non mostrano interesse per gli altri. A differenza degli altri bambini non sorridono dal terzo mese di vita e non provano angoscia di fronte agli estranei al settimo mese. Spesso sono descritti come calmi e facili, bambini che non chiedono niente a nessuno, neanche di essere consolati durante un momento di sofferenza. Intorno ai due o tre anni la situazione del bambino diventa più preoccupante ed è in genere a questo punto che viene chiesta una consultazione. Infatti, i bambini non instaurano rapporti con la madre, che sembrano non riconoscere. Tendono a rifiutare il contato corporeo, e quando questo avviene ha caratteristiche singolari. Essi, sia quando hanno a che fare con il corpo umano che con degli oggetti, sembrano interessarsi a una sola parte, usandola spesso come appoggio o strumento per ottenere qualcosa di desiderato. Questi bambini mostrano di preferire attività ripetitive e monotone. Hanno un'estrema esigenza di immutabilità. Le loro reazioni ai cambiamenti sono spesso d'ira.
Il linguaggio è un'area molto problematica. Si è osservato che circa la metà dei bambini autistici non inizierà mai a parlare. I bambini che riusciranno a parlare mostreranno in genere delle caratteristiche peculiari come un tono monotono ed un'estrema concretezza dell'espressione. Essi hanno inoltre difficoltà ad apprendere e rispettare le regole sociali della comunicazione, con problemi nel rispettare i turni, ad adattare la lunghezza della conversazione e ad introdurre discorsi adeguati.
Questi bambini presentano anche un gran numero di anomalie tonico-motorie come instabilità, stereotipie motorie (movimenti ripetitivi ritmati) che riguardano più spesso il viso, le mani e la testa. Per effettuare una diagnosi di autismo non è necessario che tutte queste caratteristiche siano presenti.
I dati evidenziano una prevalenza normalmente accettata di 7-17 bambini ogni 10.000. Alcuni autori hanno però evidenziato che in età scolare è stata trovata una prevalenza più elevata di 12-20 ogni 10.000, che dato il frequente ritardo nella diagnosi potrebbe essere un dato più significativo. L'autismo si manifesta maggiormente nei maschi in un rapporto di 3-4 maschi per ogni femmina.
Si è osservato che tanto più i bambini autistici presentavano un discreto livello cognitivo (alcuni con un quoziente intellettivo superiore a 70) quanto più favorevole era il decorso. In genere la metà o poco più di questi bambini avrà un esito piuttosto sfavorevole. Uno studio che ha analizzato le condizioni di vita dei bambini autistici divenuti adulti, ha evidenziato che il 66 per cento presentava dei gravi handicap sociali, e non aveva raggiunto quasi nessuna forma di indipendenza. Circa l'1,5 per cento morì prima dei 30 anni. L'8 per cento dei soggetti aveva però un lavoro, ed una persona frequentava il college. Molti studi hanno evidenziato un'elevata incidenza di epilessia che colpisce tali bambini nella pubertà o nella adolescenza, portando spesso ad un peggioramento. Spesso, in associazione all'esordio d'epilessia si manifestavano comportamenti aggressivi, iperattivi e autodistruttivi.
È fondamentale prima di iniziare il trattamento fare un'analisi dettagliata del caso: cercare di conoscere il più possibile la storia del bambino, dalla sua nascita al momento della consultazione; valutare l'eventuale comparsa del linguaggio e le capacità cognitive; indagare le sue competenze sociali osservandolo in situazioni di interazione con i membri della famiglia. Questa valutazione permette di far conoscere ai genitori e ai terapeuti i punti di forza e di debolezza del bambino. I trattamenti hanno la finalità di promuovere, per quanto possibile, uno sviluppo normale, a livello di capacità sociali, cognitive e di linguaggio; la riduzione della sintomatologia, come le stereotipie e la rigidità nonché dei comportamenti disadattativi come l'aggressività, e la riduzione dell'iperattività; il sostegno della famiglia, in termini di riduzione della sofferenza familiare e di training che permettano di gestire e aiutare il bambino.
Le psicoterapie psicodinamiche utilizzano il gioco e il linguaggio come mezzi di comunicazione e per dare un senso ai sintomi e agli avvenimenti della vita del bambino. Le terapie comportamentali si focalizzano sulla gestione dei comportamenti disadattativi e sull'incoraggiamento delle condotte positive e l'eliminazione delle condotte negative. Di ampio utilizzo e di buona efficacia si sono dimostrati i training per i genitori e per i fratelli. Questi interventi hanno molteplici vantaggi, da un lato permettono ai familiari di comprendere meglio il problema e di sentirsi parte attiva, dall'altro il contatto costante con figure preparate a sostenere e incoraggiare il bambino si è dimostrato utile non solo in termini di miglioramenti ma anche per evitare poco auspicabili trattamenti istituzionali.
Non esistono farmaci con un effetto curativo. Essi vengono, di solito, impiegati per i problemi comportamentali come l'iperattività, i comportamenti autolesivi, l'epilessia, la depressione, i comportamenti ossessivo-compulsivi, l'aggressività e gli scoppi d'ira.
Disturbo di Asperger
Il disturbo di Asperger non è un disturbo molto studiato. Fu descritto per la prima volta nel 1944 da Hans Asperger e successivamente da Wing che nel 1981 pubblicò una serie di casi. Questo disturbo si differenzia dall'autismo per uno sviluppo cognitivo e del linguaggio nella norma, ma presenta lo stesso genere di compromissione dell'interazione sociale. I bambini che ne soffrono non utilizzano i comportamenti non verbali di interazione, come lo sguardo diretto, l'espressione mimica, i gesti e le posture corporee. Essi non sviluppano relazioni con i coetanei e non ricercano la condivisione degli interessi, delle gioie e degli obiettivi. I loro interessi sono stereotipati e ristretti o legati a parti di oggetti. Sono presenti manierismi e stereotipie e una sottomissione ad abitudini o rituali. Spesso i bambini e gli adolescenti con questo disturbo sono goffi o presentano un ritardo motorio. Queste sono le caratteristiche che si riscontrano più di frequente in questi bambini, ma perché sia effettuata una diagnosi non è necessario che siano tutti presenti.
Essendo un disturbo poco indagato, anche i dati sulla prevalenza risentono di questa scarsità. Un problema ulteriore è la diagnosi differenziale tra il disturbo di Asperger e l'autismo con un buon funzionamento cognitivo, che risulta ancora poco chiara. I dati a disposizione evidenziano in uno studio una prevalenza di 3,6-7,1 casi ogni 1000 in una fascia d'età compresa tra i 7 e i 16 anni.
I dati evidenziano una stabilità della diagnosi nel tempo, soprattutto in relazione ai problemi di socializzazione e comunicazione. In confronto a bambini autistici con uguale quoziente intellettivo i bambini con disturbo di Asperger avevano più probabilità di riuscita, molti lavoravano e alcuni erano sposati. Questi soggetti presentano spesso altri disturbi in comorbilità, come l'ansia, la depressione o presentano le caratteristiche del disturbo schizotipico di personalità (un disturbo caratterizzato principalmente da deficit nelle relazioni interpersonali e sociali), che sembra molto difficile da distinguere dal disturbo di Asperger.
Non esistono indicazioni specifiche sul trattamento di questo disturbo. Sembra essere importante coinvolgere genitori e insegnanti nella sua conoscenza in modo da poter aiutare e comprendere i bambini che mostrano caratteristiche che possono apparire stravaganti. Può essere utile a tal proposito un intervento sulla famiglia per evitare gli atteggiamenti ipercritici nei confronti del bambino. Non è da escludere che i bambini possano trarre vantaggio da interventi sul discorso e sul linguaggio (spesso pedante e monotono) o da training che migliorino le loro capacità sociali.
Disturbo di Rett
Il disturbo di Rett è un disturbo che si manifesta dopo i primi mesi di vita di sviluppo normale o apparentemente normale. Dopo i primi 5-48 mesi può arrestarsi la crescita del cranio, e si osserva nel corso del tempo una perdita delle capacità acquisite fino a quel momento. Intorno ai 2-3 anni avviene un arresto dello sviluppo sociale, che può anche riprendere successivamente. Si osserva una perdita dei movimenti finalizzati delle mani, e sviluppo di movimenti stereotipati. Negli anni successivi si osservano movimenti coreici (movimenti rotatori sinuosi e affettati di tipo involontario) e crisi epilettiche. È un disturbo che colpisce solo le femmine, la cui causa è ancora ignota.
Un solo studio ha indagato la prevalenza di questo disturbo nella Scozia Occidentale. I dati hanno evidenziato un'incidenza di 1 caso ogni 15.000 bambine. I trattamenti, in genere di tipo medico, si focalizzano sul controllo delle crisi e dei comportamenti autolesivi.
Disturbo disintegrativo
Questo disturbo si caratterizza per uno sviluppo normale o apparentemente normale prima dei due anni. Si tratta di bambini che manifestavano interesse per le relazioni sociali, gioco, comunicazioni verbali e non verbali. Successivamente essi vanno incontro alla perdita delle capacità precedentemente acquisite con un comportamento simile a quello dei bambini autistici. I bambini affetti da questo disturbo manifestano, per esempio:
- aggressività
- agitazione
- autolesionismo
- imbrattamento con le feci.
In questa definizione sono incluse le diagnosi di demenze infantili, psicosi disintegrativa, sindrome di Heller e psicosi simbiotica. Non esistono dati sulla prevalenza o sui trattamenti.
Il decorso è di solito estremamente negativo, spesso i bambini rimangono muti o usano parole singole. Uno studio che ha esaminato 10 casi ha evidenziato che a 25 anni 9 di loro si trovavano in una sistemazione residenziale.